Efisio Marini, La vera storia di un sognatore d'altri tempi.

A cura del Dott. Antonio Maccioni

La prima volta che lessi di Efìsio Marini fu quindici anni fa, in un saggio di Alziator in cui, in modo piacevole ma in parte romanzato, ne venivano descritte vita ed opere. Nonostante fosse evidente l'originalità di questa singolare figura di Medico "pietrificatore di cadaveri", il mio interesse per il Marini nacque in seguito, con il procedere della ricerca bibliografica e soprattutto con la lettura dei suoi scritti. La conoscenza delle tessere del mosaico della sua vita, consente infatti di ricomporre con gradualità non solo il suo operare ma anche il pensiero, gli ideali e le aspettative. La figura che così si delinea, è quella profondamente umana, di un "gigante" che si erge incompreso nell'appiattito panorama culturale della Sardegna dei suoi contemporanei. Assai piacevole è stato poi scoprire che questo desiderio di approfondire lo studio del Marini non è stato un atto isolato ma, senza sapere l'uno dell'altro, molti Ricercatori hanno contemporaneamente dedicato tempo e risorse all'analisi delle opere dello Scienziato, nel mentre divenuto - suo malgrado -protagonista di una recente e fortunata serie di romanzi.
Il tempo ha fatto sedimentare nella memoria i dati talora slegati emersi dalla analisi bibliografica e storica e forse è per questo che, con maggiore libertà, posso tentare di approfondire i lati umani e le motivazioni che spinsero il Marini ad avere quella determinazione che, nel bene e nel male, caratterizzò la sua vita.
Delle origini del Marini e della sua famiglia è stato detto e scritto tanto. Non riesce quindi diffìcile comprendere quanto vivace ed intelligente dovesse essere il piccolo Efìsio se, anziché essere avviato al negozio paterno, come avvenne per i fratelli, gli si consentì di proseguire negli studi liceali ed universitari. E la madre, Fedela Marturano, il cui cognome tradisce le origini napoletane, ebbe il suo bel da fare per contenere le intemperanze del figlio che spesso spariva intere giornate per andare nelle campagne, in cerca di fossili da classificare. E chissà quale fu lo stupore ed il disgusto della madre quando, giovanissimo studente in Medicina, portò a casa, di nascosto, una gamba d'uomo che sottopose a prove di conservazione sul tavolo della cucina.
Nonostante il clamore ed i problemi procurati da questo "furto", che probabilmente rappresentarono una delle motivazioni del suo rapido trasferimento all'Università di Pisa, i rapporti con la famiglia rimasero sempre improntati all'affetto più deferente, sia nei confronti dei genitori che, in seguito, verso l'unico fratello rimasto in vita, cui spesso dedicava gli scritti e le opere pietrificate.
Benché l'ambiente provinciale e pettegolo del quartiere avesse oramai individuato il Marini come uno strano individuo da tenere lontano, gli anni della sua giovinezza furono rischiarati dalla grande amicizia con quell'Agostino Lay Rodriguez che diventerà il più celebre fotografo della vecchia Cagliari. Questa cordialità, scaturì verosimilmente dal comune interesse per la fotografia e per la iniziale esperienza con la dagherrotipia, una tecnica che consentiva durevoli risultati di elevato livello. Anzi, il giovane Efisio era così certo di poter dare con essa un valido aiuto all'umanità, da far pubblicare in un giornale locale un annuncio in cui si rendeva disponibile ad insegnare gratuitamente, a chiunque lo desiderasse, questa nuova e strabiliante tecnica. Quanto fu grande la sua delusione nel constatare che non solo continuava a venire mal considerato dai suoi concittadini, ma nessuno gli chiese di apprendere ciò che egli, con la massima disponibilità e disinteressata generosità, aveva da offrire.
Comincia così a farsi strada quel sottile filo conduttore che caratterizzerà la sua vita che, a soli venticinque anni, è oramai definitivamente tracciata. Risulta ora agevole concatenare fra loro lo studio per i fossili, la passione per la fotografia, la ricerca della migliore tecnica per la conservazione delle sostanze organiche, le disillusioni giovanili e l'amicizia con il Lay Rodriguez.
E' in questo contesto che matura in lui la determinazione nel raggiungimento del segreto della pietrificazione, che altro non era che la vittoria simbolica della vita sulla morte e la conquista di uno stato di perenne immutabilità, variante umana dell'eternità.
I fossili, a lui tanto cari, rappresentano infatti l'ultima e più perfetta modificazione della materia organica, anzi l'unica esistente in grado di rimanere inalterata per centinaia di migliaia ed anche milioni di anni. E la dagherrotipia, cos'altro era se non una tecnica artificiale che consentiva di catturare le immagini, bloccandole nel tempo in un risultato immodificabile e quindi di fatto immortale?
Analoghe considerazioni valgono per la pietrificazione cadaverica raggiunta mediante la accelerazione artificiale dei processi di fossilizzazione naturale con un modo di procedere basato su bagni e contatti con composti chimici, mutuato dalla tecnica fotografica.
Tale visione della vita e della morte ed il cammino di ricerca basato sull'incessante provare e riprovare, portano il Marini a maturare una conflittualità fra il disprezzo che nutriva per le istituzioni pubbliche che lo ignoravano ed il caldo affetto che lo legava alla famiglia ed all'amico Lay Rodriguez. Contrasto reso ancora più doloroso ed insanabile per il suo mai sopito desiderio di aiutare l'umanità ed il rifiuto che otteneva ogni sua pur lecita offerta o richiesta.
E' in questo contesto che si inserisce la sua adesione alla Massoneria cittadina che, nel limitato panorama della realtà cagliaritana, rappresentava l'unica istituzione ad avere un respiro internazionale e quegli ideali di universalità e tolleranza in grado di fornire la base filosofica del suo eterno ricercare. La pietra levigata che egli artificialmente creava inattivando i processi di decomposizione, diveniva così un modo per dare sfogo al proprio desiderio di costruttività. Inoltre, le Logge cagliaritane, come in tutte le città sedi di importanti porti marittimi, accoglievano con frequenza visitatori provenienti dal Continente, portatori di idee e stimoli che, non solo potevano temporaneamente lenire la sete di sapere del Marini, ma consentivano la creazione di una rete di conoscenze con cui rimase in contatto per il resto della vita.
Tutto ciò non solo aumentava l'ostilità nei suoi confronti da parte del popolino, come dimostra la nota satira dei "Goccius" che terminava con l'esplicito "Ponei fogu a is framassonis che ci pappanta Casteddu", ma incrementava l'ostilità delle paludate autorità accademiche che continuavano ad ignorare i suoi successi internazionali.
Vi è anzi da segnalare che benché ogni suo scritto fosse stato a suo tempo inviato all'Università di Cagliari, attualmente presso la locale biblioteca sono sopravvissuti solo il giovanile trattato sui fossili ed una "lettera" relativa al trattamento dei colerosi. Questi fatti naturalmente non stupiscono neanche oggi e così pure non sorprende che il carattere del Marini, si fosse gradatamente modificato, da vivace e generoso, a triste e diffidente, da meticoloso e sistematico a maniacale ed ostile.
Tali eventi comunque non gli impedirono di mantenere ottimi rapporti con una vasta schiera di scienziati, letterati e personaggi di caratura internazionale (Napoleone III, Nelaton, Garibaldi, Bovio, etc.) e nel contempo di assicurare l'assistenza ai poveri, agli incurabili, ai colerosi. Con questi ultimi sperimentò a Napoli dei farmaci derivati da composti chimici, in parte da lui utilizzati nei processi di pietrificazione.
La vicenda del trattamento del cadavere di Pietro Martini, ancora oggi tumulato presso il cimitero monumentale di Bonaria, in Cagliari, gli da la speranza che i suoi rapporti con la società e con le Istituzioni universitarie possano finalmente cambiare. Dal punto di vista tecnico e scientifico il suo fu un enorme successo, ma la stampa locale, nonostante la efficace documentazione fotografica curata da Lay Rodriguez, continuò a mantenere un atteggiamento fra il canzonatorio ed il serioso ed i politici cagliaritani, sentita la vox populi, poterono esprimere pubblicamente che a quei risultati avrebbero preferito la costruzione di una strada.
Fu troppo! Nemmeno una onorificenza concessa dalla locale Società Operaia calmò il nostro furibondo e disilluso Efisio che, giunto al limite della sopportazione, gettò in mare, al molo di levante, i suoi ultimi lavori e parti alla volta di Napoli, con la speranza di poter ricominciare una nuova vita. L'ambiente più aperto e la maggiore facilità di mantenere rapporti culturali con i più prestigiosi scienziati del tempo, non saranno tuttavia in grado di restituire la serenità al Marini che, sempre più ombroso, pur lavorando per nobili facoltosi e Prelati, si ridurrà in povertà, rifiutando sino all'ultimo di svelare il suo segreto.