GLI ULTIMI ANNI

Ma egli divenne ancor più celebre per aver pietrificato il sangue di Garibaldi, ferito sull’Aspromonte, componendolo in un medaglione che egli stesso regalò all'Eroe dei Due Mondi. Lo scienziato cagliaritano si trovava sull’Aspromonte, nei giorni della battaglia, seguiva Garibaldi ed ebbe l’occasione di giungere fra i primi soccorritori dell’eroe e di raccoglierne immediatamente il sangue .
Pure quest’altro fatto ci deve far pensare alla considerazione che il Marini godeva presso personaggi tanto illustri. Lo stesso Garibaldi lo ringraziò ufficialmente, attraverso una lettera personale, che al Marini dovette risultare oltremodo gradita, poiché era un’ennesima attestazione del prestigio del suo lavoro.
Per quanto riguarda l’avara Sardegna, qualche riconoscimento ai suoi primi successi scientifici Marini lo ebbe a Sassari, città alla quale donò una mano di giovinetta, pietrificata nel 1864, in segno di gratitudine per una medaglia d’oro concessagli per sottoscrizione pubblica, nel 1876 .

Mano di giovinetta pietrificata, donata alla città di Sassari nel 1876
da AA. VV., Università degli Studi di Sassari, Sassari 2001, p. 69

Ad un certo punto, comunque, il Marini si rese conto che per arrivare a conseguire i suoi obiettivi doveva puntare ad una utilità pratica dei suoi preparati, perché non fossero visti solamente come l’opera bizzarra di uno scienziato un po’ matto o, peggio, trofei macabri della follia umana. I preparati per la pietrificazione, infatti, potevano avere numerose applicazioni, per questo si risolse di portarli alla grande Esposizione Industriale Italiana svoltasi a Milano, nel 1881.
Dell’esperienza milanese rimane oggi una piccola pubblicazione, edita dal Marini , nella quale lo scienziato presenta una per una le opere messe in mostra all’Esposizione e ne spiega le applicazioni pratiche.
I pezzi anatomici conservati allo stato di flessibilità e trasparenza, ad esempio, avrebbero potuto essere utili nello studio dell’Anatomia normale, per formare musei di modelli di operazioni chirurgiche sul vero e per l’amministrazione della giustizia . Un cuore ferito da pugnale, invece, conservato a freschezza e colorito, poteva anch’egli tornare utile all’amministrazione della giustizia, per eliminare i casi dubbi sulle modalità dell’uccisione .
Altre applicazioni sulle quali il Marini contava molto erano quelle industriali. In questo settore egli proponeva speciali preparati di carne di bue, conservata fresca grazie ai suoi preparati, oppure i cuoi di bue conciati in quattro mesi di tempo, senza lavoro di riviera e con l’economia del 20%, in confronto ai sistemi conosciuti. Come spiega lo stesso Marini:

“Le pelli conservate con questo sistema possono essere trasportate da lontanissime regioni nello stato di naturale freschezza o secche, per poi ritornarle al primitivo stato di freschezza sempre che occorra. Le pelli fresche, dopo essere state tre ore immerse nel preparato, sono garantite dalla putrefazione e possono essere immediatamente spedite in commercio o seccate, esponendole alla corrente d’aria atmosferica” .

Invenzioni chiaramente in anticipo sui tempi che dovettero apparire, ai più, il prodotto bizzarro dell’immaginazione di un personaggio pittoresco, a metà fra lo scienziato e il negromante. Difatti le proposte del Marini rimasero lettera morta e allo scienziato non venne fatta alcuna proposta concreta per l’utilizzazione industriale dei suoi preparati.
Di questa pubblicazione ciò che maggiormente colpisce è invece la postilla finale, indirizzata al Ministro della pubblica Istruzione, la quale ci lascia intendere quali erano i sentimenti del Marini riguardo al suo lavoro e alla stima e considerazione che riteneva di dover godere:

“Sono pronto a rivelare le scoperte utili per gli studii anatomici, signor Ministro della Pubblica Istruzione quando mi sarà resa giustizia dei torti che durante i miei esperimenti mi furono fatti alla mia carriera universitaria, non chiedo altro” .

Essa contrasta con il lungo elenco dei titoli che il Marini aveva posto all’inizio del suo libretto. Entrambi gli inserimenti appaiono estremamente significativi del dramma intimo che il Marini visse durante tutta la sua carriera scientifica. L’elenco dei titoli onorifici rappresentava la certezza dell’importanza dei suoi studi, confortata dal parere di tanti personaggi illustri; la disperata postilla finale, al contrario, rendeva esplicita l’amara realtà dell’essere assolutamente snobbato dalle autorità accademiche e politiche della sua patria.
Nonostante l’attività scientifica ancora febbrile i destini del caparbio scienziato stavano oramai declinando. A peggiorare le cose giunse poi la morte della cara moglie che lo lasciava con una figlia ancora da crescere mentre l’altro figlio, Vittore, era già morto. Singolare il fatto che solo sulla moglie e sul figlio Marini non esercitò la sua lugubre scienza.
Eppure il mondo della scienza europea si interessava ancora a lui e alle sue scoperte. Uno splendido articolo scritto da Luigi Ferrara e pubblicato nel 1898 sulla francese “Revue des Revues” mostrò a tutti a quale livello fosse giunta l’arte pietrificatoria del Marini . Questo grazie anche a uno splendido apparato fotografico, che proponeva in successione le più importanti tappe scientifiche da lui raggiunte.
In particolare il Ferrara Mette in evidenza le tre fasi, ormai giunte alle loro caratteristiche definitive, attraverso cui passa il processo di pietrificazione. Di ogni fase vengono descritti i risultati parziali raggiunti e le diverse applicazioni pratiche che ognuna di esse poteva garantire . Naturalmente, ben poco viene detto sui componenti chimici e le tecniche usate dallo scienziato cagliaritano: il segreto era gelosamente custodito anche con le persone a lui vicine.
A contraltare di tutto ciò, all’inizio dell’articolo viene presentata una malinconica foto del Marini di quegli anni. I capelli bianchi, gli occhi tristi, quasi rassegnati di un vecchio provato da mille difficoltà, che tenta, ancora una volta, disperatamente, di far valere le sue idee, contro tutto e tutti.

Efisio Marini intorno al 1898
da L. FERRARA, La survivance du corps, p. 8

Le ultime righe dell’articolo del Ferrara sono tristemente profetiche riguardo ai destini che incombevano sullo scienziato:

“Chi può e chi deve vi pensi bene; il fatale incantesimo che pesa su questa importante scoperta sia infranto; il Dr. Marini non abbia più ragione di considerare vanamente esauriti la sua vita, il suo genio e la sua fortuna, e soprattutto non possa più ripetere quanto mi diceva un giorno, al culmine dell’abbattimento, mentre nell’ombra del suo gabinetto la sua bianca testa s’illuminava come quella di un martire:
“Credetemi, mio caro Signore, credetemi pure: finirò per gettare tutto in mare” .

Marini cadde in sempre maggiori ristrettezze economiche; per mantenersi decorosamente si era adattato a esercitare la professione di medico, ma i clienti andavano sempre più diradandosi a causa delle malelingue e la maldicenza degli stessi colleghi. La vita dello scienziato si fece ancora più triste e amara mentre molti dei suoi colleghi diffusero la notizia che fosse addirittura diventato pazzo.
Qualcosa si era definitivamente rotto nell'equilibrio psichico di Efisio Marini; egli usciva sempre più raramente dalla sua casa napoletana, in Via Giannantonio Summonte, per trascorrere quasi tutto il tempo all’interno del suo macabro laboratorio. Nel corso degli anni aveva pietrificato le parti anatomiche più disparate, animali e anche umane, tra cui il torso di una bella adolescente e il cadavere di una bambina.

Il corpo di Maria Courrier, pietrificata da Efisio Marini (immagine concessa da Giorgio Bertorino)

Col tempo si era fatto sospettoso, egli escogitava i sistemi più strani per procurarsi i materiali per le sue ricerche, spargeva di canfora le stanze della sua casa, per non lasciar trapelare gli odori dei suoi preparati e le immaginarie spie da cui si sentiva circondato non riconoscessero la formula dagli odori. Cercava di proteggere il suo segreto con ogni mezzo.
Solo la figlia Rosa lo assistette negli ultimi anni della sua vita, condividendone miseria e disillusioni. I suoi migliori amici erano morti o, come Lay Rodriguez, vivevano troppo lontano per confortarlo. La morte lo colse l'11 settembre 1900. Con lui scompariva anche la sua formula misteriosa per la pietrificazione dei cadaveri: Marini volle che il segreto morisse con lui, proprio come fece colui che ispirò la sua opera: Girolamo Segato. Forse, davvero, volle buttare tutto il suo lavoro a mare, come aveva già fatto con i suoi cagliaritani, nel 1867.
Di fatto sono pochissimi i pezzi pietrificati del Marini sopravissuti e giunti sino a noi. Forse, con le opportune ricerche qualcosa potrà essere recuperato dagli archivi del tempo, in questo senso alcuni ricercatori e semplici appassionati si stanno muovendo nei musei di Cagliari, Sassari, Napoli e Parigi, dove si è ragionevolmente speranzosi di trovare alcuni preparati.
Il mondo della cultura, invece, accolse con tristezza la sua scomparsa ma la sua Cagliari gli rese omaggio troppo tardivamente, con un’epigrafe di Giovanni Bovio:

“A Efisio Marini, che attenuando la forza corruttrice placò la morte, non la fortuna né l’ignavia dei vivi, che lasciarono spegnere tanta fiamma senza alimento. O italiani, la giustizia postuma è rimorso” .

A parte questo ricordo, i cagliaritani per tanti anni hanno trascurato di coltivare la memoria del loro illustre concittadino, se si esclude la decisione di dedicargli una strada cittadina, nei pressi di Via Pessina.

Cadaverino fotografato cinque mesi dopo la morte (1884), immagine concessa da Giorgio Bertorino